La riapertura sta andando come pianificato a Roma: i negozi hanno tutti riaperto, qualcuno è stato multato per non aver seguito le regole anti covid stabilite. Ma com’è andata la ripartenza in realtà?
Dati contrastanti in arrivo dalla Capitale
Il primo mese di attività ha fatto registrare i dati contrastanti: se infatti la maggior parte dei negozi e dei centri commerciali hanno riaperto ed hanno ricominciato a lavorare come prima,i fatturati degli stessi hanno fatto segnare un calo di circa il 70% rispetto al periodo pre pandemia.
In poche parole sul 96% del totale delle attività commerciali della Capitale sono stati riscontrati dei dati di vendita e quindi di guadagno molto più bassi rispetto a prima. A soffrire in particolare sono state le attività al dettaglio, a partire dall’abbigliamento fino ad arrivare ai bar e ai ristoranti. È un problema molto grave se si pensa che questo tipo di attività commerciale rappresenta almeno il 40% dell’economia capitolina.
Non sono buone notizie quindi quelle che arrivano da Confcommercio che ha raccolto dati che parlano di una crisi reale dei consumi. Per ciò che concerne negozi, entrando nello specifico, su 15 mila attività censite a Roma e provincia, ha riaperto il 97% del totale: con molta probabilità il 3% rimanente dichiarerà fallimento, non riuscendo le stesse a recuperare le perdite accumulate durante i due mesi di isolamento sociale. Per ciò che concerne il commercio al dettaglio di servizi e beni a influenzare molto l’andamento del fatturato in netto calo, è stata anche la capacità delle singole aziende o attività di attuare lo smart working.
Chi va male e chi va bene
Non è migliore la situazione per ciò che concerne bar e ristoranti, anche se la maggior parte degli esercizi, secondo Confcommercio, sono stati in grado di tentare una ripartenza secondo le regole dettate dalle norme anti covid, approfittando della voglia dei romani di tornare a vivere una vita pressoché normale. Le perdite rimangono comunque alte, attestate su – 65% rispetto allo scorso anno: è stato stimato che siano stati bruciati almeno 250 milioni di euro. Secondo l’associazione vi è il rischio, se non verranno trovati abbastanza finanziamenti a fondo perduto o se non si invertirà la tendenza, di veder chiudere almeno altre tremila attività.
Il settore turistico rimane quello più colpito, senza dubbio, a causa della chiusura delle frontiere e della mancanza dei turisti stranieri: una tendenza che potrà cambiare solo nel momento in cui il paese sarà considerato abbastanza sicuro da poter attirare ancora vacanzieri provenienti dall’estero.
Una citazione a parte la meritano tutte le attività dedicate alla cura della persona come parrucchieri, barbieri, centri estetici. Nel loro caso infatti il divario è stato immediatamente recuperato e solo a maggio nelle prime due settimane dalla riapertura il settore è riuscito a raggiungere il fatturato dello stesso periodo dello scorso anno. L’unica criticità riguarda il dover lavorare su turnazioni e su appuntamento.